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Attività delle delegazioni provinciali
uomo che ha trovato la propria pace interiore, di
un uomo che ha saputo prendere e concedere a
se stesso il tempo per cercare, intravedere e
trovare il proprio posto nel mondo,
permettendosi anche di giocare a volte con i
delicati equilibri che la vita propone in termini
di nascite e di morti, di continui passaggi
necessari affinché sia proprio la Vita vera a
manifestarsi e compiersi. Il punto di vista è stato
quello privilegiato del protagonista stesso e ha
potuto perciò godere di una pesca abbondante
nel fiume della propria storia, dell’uomo che ha
tentato di «incontrare e sentire la verità di chi
canta».
Mi è stato chiesto di raccogliere qualche scatto
fotografico a testimonianza e ricordo di questa
giornata, e mi sento grato per il servizio
richiestomi proprio perché, grazie a ciò, è stato
possibile catturare alcune espressioni che
rimarranno a lungo impresse nella memoria e
che ancora continuano a riproporsi come - per
dirla alla maniera di Bertolt Brecht – “mentore
silenzioso che ritorna soltanto per non
dimenticare”. Le espressioni di De Marzi
«questo è il giorno di cui si è tanto parlato» e
«ogni passo semina una croce» si inseriscono, a
mio parere, in questo alveo e fanno da
contrappunto vivo e vivificante ai brani proposti
dalle tre corali che hanno preso parte alla
giornata vissuta «tra la donazione amatoriale e
la tecnica». Quest’ultima sottolineatura è stata
scelta come sottotitolo dell’evento.
E proprio a proposito di donazione amatoriale
De Marzi si esprimeva affermando che
«l’atteggiamento dei coristi dovrebbe essere
quello di chi da tutto e scende dal palcoscenico
sfinito, ma felice». Questo non può però
prescindere da una adeguata preparazione
tecnica a supporto. Interessante anche l’idea che
«non si scalda la voce, si scalda invece la mente
e si preparano i respiri», quasi a richiamare la
filosofia Zen della meditazione trascendentale,
la scuola del silenzio, luogo di espressione
privilegiato dell’anelito dell’uomo verso
l’infinito.
Poter cogliere lo sguardo limpido, seppur forse
malinconico, del Maestro che sovrastava la
tastiera d’avorio del pianoforte mezza coda e
allo stesso tempo si perdeva veleggiando in un
passato fatto non soltanto di ricordi ma di
presente vivo, continuamente abitato dai volti
ancora presenti nella propria vita (De Marzi si è
più volte riferito agli amici Mario Rigoni Stern,
a David Maria Turoldo, a Giulio Bedeschi…
così pure ai mostri sacri della storia della musica
quali Vivaldi, Brahms, Bach e Beethoven, sulle
cui tavole fatte di sofferte note e segni di
calamaio e piuma d’oca egli confessa essersi
nutrito) è stato come compiere un viaggio
mentale nel viaggio musicale «alla ricerca del
rapporto tra distrazione e ispirazione». Un
tempo dedicato allo studio della relazione tra
musica e vita, passando attraverso il filtro
dell’ispirazione popolare, passeggiando tra le
valli delle nostre montagne ascoltando la
melodia degli alberi e il concerto degli uccelli,
cullati dal vento che sospinge le pieghe della
nostra anima…
Mi hanno parecchio colpito i numerosi e
continui parallelismi tra poesia e musica, tra vita
e liturgia; l’idea della musica come coscienza
dell’esistenza, delle note come spina dorsale di
una vita che suda pane e sangue. Confesso di
essermi commosso nel sentire accarezzare le
parole dei salmi di Turoldo dalle mani del
Maestro (ne ha musicato una raccolta) che
conferivano loro possibilità di esistere.
L’espressione di turoldiana memoria «ti
conosciamo nel frangere il pane» è ritornata più
volte quando si è accennato al tema della musica
liturgica, dei canoni, delle