18
Rubriche
Lei è un musicista di formazione classica,
a lungo componente dei “Solisti veneti” in
qualità di clavicembalista, ha compiuto
studi di organo e composizione.
I numerosi canti corali che ha scritto si
dividono fra stile popolare e uno stile
“colto” rivolto in particolare alla musica
sacra. Spesso tuttavia queste due sfere si
intrecciano, sia nella musica sia nei testi –
uno degli esempi più eclatanti è proprio
Signore delle cime
. Si è avvicinato al
repertorio popolare con l’intenzione di
trovare una mediazione rispetto alla
vocalità sacra?
“In parte sì. Io mi sono dedicato a una
musica di ispirazione popolare che non è
proprio da ‘coro di montagna’ perché i
montanari in realtà non
cantano così. Potrebbe
essere definita piuttosto
musica
in
montagna o
per
la montagna. Per quanto
riguarda i testi, ho scritto
parole nuove per far sì
che i cori popolari si liberassero dal
linguaggio delle solite pastorelle e serenate
e potessero cantare cose più addentro la
cronaca, fatti di vita, inni alla pace dopo la
guerra.
È atteggiamento che in un certo senso si
ritrova anche nelle nuove tendenze del canto
religioso, dopo il Concilio Vaticano II,
quando si è iniziato a proporre testi in
italiano, non più in latino, e con uno stile
innovativo e comunicativo più calato nel
quotidiano.
Per quanto riguarda la musica, nei miei brani
di ispirazione popolare ho ricercato la
polifonia, seppure con armonie semplici e
con una andatura in genere omoritmica,
senza un vero contrappunto, in modo che si
potessero ‘salvare’ i cori popolari,
migliorarli e renderli attuali. Parlo di quei
cori che volevano cantare senza poter
raggiungere le raffinatezze della SAT.
Mi sono proposto di elaborare con continuità
le cose migliori che questi cori potevano
proporre.”
Mi sono proposto di elaborare con
continuità le cose migliori che
questi cori potevano proporre.