20
Rubriche
Nel corso della nostra conversazione lei
ha accennato al coro della SAT. Cosa
pensa delle armonizzazioni di Arturo
Benedetti Michelangeli?
“Nella storia del coro di montagna in cui io
mi sono inserito a suo tempo, Michelangeli
era comparso come l’uomo della svolta. Il
suo lavoro meraviglioso è stato la novità,
una grande conoscenza armonica unita ad
una ispirazione genuina.
Lui e Renato Dionisi avrebbero potuto
portare i cori popolari chissà dove, e invece
poi la situazione si è un po’ arenata. Quando
lessi le armonizzazioni di Michelangeli e le
cantai con il mio coro, rimasi impressionato
dalla sottile conoscenza che quell’uomo,
pianista, aveva della
vocalità: dalle armonie
che non sono più in terze
e seste parallele a certi
movimenti interni delle
parti che prima non si
erano mai sentiti, e poi la
liberazione dall’omoritmia, il piacere di
elaborare controcanti. In certi punti mi
pareva che procedesse come Chopin.”
Lo conobbe mai?
“No, però lo ascoltai dal vivo a Vicenza e a
Lignago, suonava Franck, l’integrale dei
Preludi di Debussy. Davanti al suo suonare
ci si sentiva piccoli, quasi inutili, eppure
felici. Era taciturno, aveva fama di essere
uno che non dialogava molto, però quando
era in montagna, mi dissero, non si
comportava come un pianista, ma come un
montanaro vero. Credo che la sua
elaborazione dei canti popolari sia stato un
immenso atto d’amore per la montagna.”
Parlando di musica sacra, qual è la sua
posizione nei confronti del movimento
Ceciliano?
“È un movimento a cui ho aderito a mio
modo, subito prima del Concilio Vaticano II
e in parte anche dopo.
Ho stimato molto Lorenzo Perosi, come
musicista e anche da un punto di vista
umano.
Ammiro poi Domenico Bartolucci, che
prima del Concilio ha scritto delle bellissime
musiche di ispirazione gregoriana. Ma si
tratta di compositori ormai accantonati.
Credo proprio che oggi questo movimento
non abbia più alcun peso all’interno della
chiesa.”
... poi la liberazione
dall’omoritmia, il piacere di
elaborare controcanti.