Pagina 22 - Rivista on line num. 1 - 2014

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Rubriche
A cura di Gian Nicola Vessia
La scomparsa di Luciano Migliavacca,
maestro di cappella emerito del Duomo
di Milano, imporrà, per chi vorrà iniziare
a studiare tra le sue carte, un certo
coraggio per navigare in un “mare
magnum” per larga parte inesplorato e
suscettibile di improvvise e molteplici
increspature determinate da una
creatività musicale di volta in volta
sempre più sorprendente.
Ho conosciuto don Luciano (così amava
farsi chiamare...) nel 1960 quando mi
accolse alla sua scuola quale fanciullo
cantore della cattedrale milanese. Lui era
arrivato in Duomo solo due anni prima, o
poco più, e aveva iniziato
immediatamente una autentica
rivoluzione estetica. La rinnovata
compagine corale, sia nella sezione dei
“pueri” che in quella virile, si trovò ad
affrontare in tempi brevissimi messe
palestriniane quali la “Lauda Sion”, la
“Missa brevis”, la “Assumpta es Maria”
che con le sue sei voci sembrava ancor
più dilatarsi nell’esecuzione durante la
liturgia festiva. Contemporaneamente
veniva ripresa la letteratura polifonica di
Franchino Gaffurio, il maestro di
cappella più longevo (dal 1485 al 1522) e
dotato di una personalità culturale capace
di dare fondamento alla storia della
cappella stessa. Solo dopo anni,
studiando la storia della musica in
Duomo, mi accorsi come don Luciano
avesse scelto Gaffurio come riferimento
per la sua conduzione direttoriale.
Franchino era come lui sacerdote, aveva
chiaro il senso dell’impegno compositivo
e di una nuova estetica della polifonia al
servizio ecclesiale, poneva attenzione
alle relazioni con la Fabbrica e con le
autorità civili cittadine, si prodigava per
la formazione, non solo musicale, dei
fanciulli cantori e di uno stile
comportamentale di chi lavorasse alla
cappella. Una coerenza di
comportamento che Migliavacca tenne
per tutto l’arco della sua vita di artista e
di direttore di coro. In quei primi anni
’60 nasceva anche l’esigenza di
affrontare i temi delle nuova liturgia:
“Tra gli alti flutti di un catalogo...”